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L'arte paleocristiana a Napoli

Naples-Italy
Raffaele

Tour Guide, Naples, Italy

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Il termine iconografia deriva dal greco ed indica la “rappresentazione figurata” ed è una disciplina che studia il ritratto come documentazione storica, nonché gli elementi grafici e compositivi di ogni opera d’arte (per es., le positure, i gesti, gli attributi dei personaggi rappresentati) nell’intento di coglierne i particolari significati, le derivazioni, le persistenze e le mutazioni, giungendo spesso a decifrare sicuramente i soggetti, a cogliere rapporti insospettati fra l’opera d’arte e la cultura del tempo che l’ha prodotta, a indicare quali fattori abbiano potuto operare sulle intime qualità dello stile.

Quella paleocristiana inoltre, ha il compito di rintracciare nei prodotti dell’arte cristiana antica tutte le informazioni che possono far luce sulla cultura cristiana dei primi tempi. La sua attività quindi si svolge in base a quei monumenti e a quei resti monumentali che offrono rappresentazioni figurate, studiate non come creazioni artistiche corrispondenti a fini estetici (punto di vista riservato alla storia dell’arte), ma nel loro contenuto. Essa, infatti, non limita più i suoi sforzi all’identificazione del soggetto, alla descrizione di figure o scene e delle successive evoluzioni grafiche per cui passò l’espressione figurata, alla costituzione di gruppi più o meno ben classificati. L’opera d’arte, considerata come manifestazione di un pensiero e al servizio di finalità superiori, dopo determinato il suo genere figurativo (simbolico, tipologico, allegorico, ciclico o narrativo), non soltanto viene situata nella catena generale degli sviluppi genetici dell’arte cristiana reperibili tanto nello spazio quanto nel tempo, ma pure studiata in tutti i suoi elementi costitutivi, anche quelli più nascosti, fino a raggiungere, attraverso le varie interferenze ideologiche concorrenti alla sua elaborazione, l’intero concetto ispiratore cui deve la sua esistenza. L’ ”immagine” creata per servire da veicolo di idee e di sentimenti tra l’ideatore e chi contempla. L’iconografia si trasforma così in iconologia.

L’iconografia è scienza ausiliaria in alcuni casi della teologia, nella misura in cui riesce ad illustrare i vari e successivi aspetti della fede e delle credenze popolari riflessi nelle opere d’arte.

Nel lavoro qui proposto tratterò dell’iconografia paleocristiana a Napoli, il che vuol dire esaminare i monumenti tardo antichi che conservano ancora tracce di apparati e/o manufatti artistici prodotti tra il IV e il VII secolo. Data la grande mole di fonti storiche riguardanti questo periodo storico, potrà sembrare un lavoro pretenzioso, ma che diventa suggestivamente stimolante e arduo in quanto le testimonianze reali e tangibili dei prodotti artistici paleocristiani sono troppo esigue, causa dei continui rimaneggiamenti, spoliazioni, reimpieghi dei “templi” cristiani nel corso dei secoli, che è il diretto prodotto di quella grande macchina chiamata edificazione ecclesiastica napoletana, che inizia in epoca angioina e che terminerà solo nel diciannovesimo secolo. Tra gli esempi più eclatanti di edifici di culto paleocristiani inglobati in fabbriche più recenti, ricordo solo il caso di San Lorenzo maggiore e della più famosa basilica costantiniana inglobata prima in Santa Restituta ed in seguito nella grande architettura angioina del Duomo.

Il metodo di ricerca che ho utilizzato è stato quello di esaminare dal vivo gli elementi (mosaici, pitture, capitelli incisi) superstiti nelle strutture paleocristiane, stilando a monte una lista di tali monumenti. Per maggior chiarezza e sicurezza, le opere esaminate sono confrontate con altre opere d’arte, anzitutto con quelle della stessa famiglia e di preferenza con quelle immediatamente precedenti nel tempo o contemporanee, secondariamente con quelle appartenenti ad altri gruppi, anche non cristiani, che offrono elementi di rassomiglianza. Ciò che in un’opera non è forse troppo chiaro lo diventa mediante un paragone con un’altra. Laddove eventi naturali o nefasti (terremoti, guerre, bombardamenti della seconda guerra mondiale, restauri etc..) hanno obliterato il ricordo del dato artistico, ho ricercato, ove è stato possibile, la documentazione grafica e fotografica d’archivio nelle singole parrocchie.

Per la ricerca storiografica, propedeutica al lavoro in esame, mi sono avvalso delle diverse Cronache dei Vescovi, delle vite dei primi “episcopi” quali Aspreno, Severo, Sotero, Vincenzo, Pomponio. Inoltre ho tenuto conto dei rapporti epistolari che intercorrevano tra il vescovo di Napoli Severo e il vescovo di Milano Ambrogio e, in ultimo, ma non per grado di importanza, le epistole con Paolino da Nola.

Gli edifici di culto indagati, soffermandomi prevalentemente su mosaici, pitture parietali e sculture, sono: San Lorenzo maggiore, Santa Maria maggiore detta della pietrasanta, San Giorgio maggiore, battistero di San Giovanni in Fonte in Santa Restituta, San Giovanni maggiore.

Inquadramento storico-religioso del IV secolo

Il secolo di cui parlerò, segnò indubbiamente una svolta decisiva nella storia della civiltà italiana ed europea. Nel 313 l’Imperatore Costantino il Grande con il famoso Editto di Milano, rese libera la religione cristiana, gettando così le basi per il suo trionfo. Il paganesimo invece, o meglio, l’antica religione romana, diventava un diretto prodotto dei classici, una eredità infinita di rituali degli antichi da inglobare e fondere con la neo dottrina religiosa, così come afferma giustamente il Cumont “ mai un popolo di cultura tanto avanzata ha avuto una religione meno intellettuale di quella dei romani “. Ad onore del vero, il paganesimo era divenuto moribondo già dai tempi di Augusto, quando la conquista di regioni orientali aveva permesso l’importazione di culti e religioni non romane, che si diffondevano prevalentemente nella classe militare, come il Mitraismo. Diverse poi sono state le persecuzioni verso i cristiani o i moti per ridare lustro all’antica religione dei patres e, tra gli ultimi tentativi si ricorda nel 361 Giuliano l’Apostata, o il retore Quinto Aurelio Simmaco. Nonostante ciò, era prevalso lo spirito religioso e mistico dell’Oriente. Venne a crearsi una specie di osmosi tra i vecchi culti pagani ed il Cristianesimo. Non differisce molto il messaggio degli ultimi scrittori latini come Ammiano Marcellino e Boezio, dal messaggio dottrinale religioso, fattore che si avverte anche nella primordiale arte cristiana. Solo in questo clima può spiegarsi il perché, un retore come Q. A. Simmaco, fermo amministratore della religione politeista, esprima tutta la sua ammirazione verso Severo, vescovo di Napoli. Il Cristianesimo trionfava dopo aver superato prove molto dure, quali scismi ed eresie, come l’arianesimo, che in Campania fece alcune vittime: Rufinino vescovo campano e Massimo vescovo di Napoli. Si ristabilì la fede cattolica con il concilio del 382 tenutosi a Capua, voluto dal vescovo di Milano, Ambrogio. Ed è proprio in Campania che avviene in questo secolo, quel processo che vide trasformare interi latifondi o aree appartenenti al patriziato, da praedia ad aree cimiteriali. Dalle fonti scritte sappiamo che i primi vescovi appartenevano all’antica classe politica romana (Aspreno, Severo, Paolino da Nola) ed è proprio grazie alle donazioni dei patrizi napoletani che nasce la proprietà ecclesiastica locale con conseguente apparato decorativo, che richiamava il gusto, la cultura e la moda religiosa di quegli anni.

Il vescovo Severo e le fondazioni severiane

Severo occupa il dodicesimo posto nel Catalogo dei Vescovi di Napoli, o Chronicon Episcoporum Sanctae Neapolitanae Ecclesiae, collocandosi tra il 364 al 410, dai tempi di Costantino a Valentiniano. Il giovane Severo, chiamato a presiedere il seggio di Aspreno, primo vescovo di Napoli, apparteneva, come di consueto, ad una nobile e ricca famiglia. Da rampollo di famiglia nobile e aristocratica, oltre ad intrattenere amicizie importanti, aveva conseguito una importante formazione classica e scolastica, attirandosi anche l’attenzione di S. Girolamo, il retore Vittorino e il grammatico Elio Donato. Questi dati sono importanti per comprendere il substrato culturale che portò in seguito Severo alla decisione dei cicli decorativi nelle diverse fabbriche di sua costruzione. Tra gli elementi fondamentali ai fini della ricerca sull’iconografia paleocristiana c’è appunto da valutare e ricordare che i protagonisti, come nel caso di Severo, e i promotori del primo Cristianesimo, rimasero solidali con la cultura classica, studiando testi di autori pagani, apprezzando l’arte greco-romana. Inoltre è risaputo che sotto l’episcopato di Severo, Napoli e la Campania si trovavano al centro di una fitta rete di rapporti epistolari, creati principalmente da Paolino di Nola e da Giuliano d’Eclano con gli uomini più illustri del loro tempo. Se si volesse andare invece a ritroso ne tempo, basti ricordare la importante testimonianza, nel celebre affresco della catacomba di S. Gennaro, della conoscenza che i Napoletani ebbero del Pastore, composizione mistico-allegorica attribuita ad Erma, equiparata al testo sacro ispirato. Severo, come successore di Zosimo, si trovò a presiedere una comunità di circa 35 mila anime (secondo la stima di Giuseppe Pardi). Come termine di paragone può essere considerata l’affermazione di S. Girolamo all’indomani del terremoto del 365 che colpì Napoli, considerandolo “per tutto il mondo”. Egli è il primo vescovo che sente l’esigenza di erigere una seconda chiesa dedicata al Salvatore, poco lontana dalla basilica costantiniana. L’elemento che contraddistingue il suo lungo episcopato è proprio la costruzione di diverse chiese, che hanno il compito di convertire i molti pagani e conservare il predominio della religione cristiana. Sappiamo inoltre che operarono nelle costruzioni severiane maestranze di provenienza e cultura orientale.

Ma prima di procedere alla ricerca di tali edifici, è bene e fondamentale ricordare il peso morale e lo spessore culturale che Severo aveva sugli intellettuali del proprio tempo. Si è ricordato già precedentemente Simmaco, ma è indubbio che Severo nel 384 fu a capo della seconda legazione inviata a Milano presso Valentiniano I, ed è in quella occasione che rafforzò la sua amicizia con il vescovo di quella città, Ambrogio. Sono gli stessi anni in cui al seggio vescovile nolano salì un giovane nobile proveniente dalla Gallia, il quale spogliandosi di tutti i suoi beni donandoli ai poveri, donò lustro al luogo dove si trovava la tomba di S. Felice a Cimitile, edificando chiese e rendendo quel luogo meta prediletta di pellegrinaggi, che ancora oggi hanno un eco fortissimo, è Paolino di Nola. La sua fama di illustre intellettuale era famosa in tutte le province romane, tanto che ha rapporti diretti o epistolari con Sulpicio Severo a Tolosa, Didier di Cahors, Vittrice a Roma, Agostino e Alipio in Africa, Girolamo e Ambrogio a Milano. Severo era certamente tra gli amici del vescovo nolano e non potette fare a meno di vivere da protagonista o subire l’aura culturale ed artistica che sprigionava quel cenacolo. Immaginiamo inoltre una serie di rapporti più o meno stretti intrattenuti con gli altri vescovi campani ed una standardizzazione nella costruzione e nella decorazione dei luoghi santi.

L’autore del Chronicon ci informa che Severo edificò quattro basiliche, ma dà informazioni precise soltanto per due, una suburbana ed una altra all’interno della mura della città. Quella extra moenia è la attuale S. Severo alla Sanità, dove furono accolte le spoglie dei SS. Fortunato e Massimo, di fronte alla catacomba di S. Gaudioso.

A poca distanza dalla cattedrale, Severo eresse una basilica di “mirabile fattura”, al centro della regio forcellensis, meglio conosciuta come Forcella, luogo di rifugio dei fuggiaschi di Ercolano dopo l’eruzione del 79 d.C. L’edificio, che gareggiava per magnificenza con la struttura costantiniana, fu eretto sui resti di un tempio dedicato a Demetra, in un vicolo detto a Pendino e per questo conosciuta nel Medioevo come S. Giorgio Maggiore.

L’abside, formato da tre archi con colonne romane, simile nella struttura a quelli fatti edificare da Paolino di Nola a Cimitile, furono realizzati da un’artista siriano ed è, a detta di De Rossi, l’unico tipo di abside arcuato superstite. Di particolare interesse è il monogramma in rilievo che adorna il capitello, dove il riccio della lettera greca P lo si trova raddoppiato e rivolto in giù, molto simile alla lettera R, secondo una costumanza molto in voga in Siria. Nel catino dell’abside era presente una decorazione musiva di pregevole fattura, allorché nel IX secolo, l’autore del Chronicon la vedeva e la descriveva, come la splendida scena (ricostruzione nella foto precedente) del Salvatore assiso in trono e circondato dai dodici Apostoli.

A Severo si attribuisce anche la costruzione del battistero di S. Giovanni in Fonte o detto di S. Restituta, perché posto alla destra dell’abside della omonima chiesa eretta per accogliere le reliquie della martire africana. La splendida decorazione musiva viene datata alla fine del IV secolo, attribuendone a Severo il messaggio iconografico, ma subì interventi ad opera del suo successore. L’apparato della decorazione a mosaico è di splendida fattura, tanto da renderlo un monumento tanto indagato e ricercato dal punto di vista di studio, che sarebbe infelice voler descrivere ogni singola scena trattata.

Al dodicesimo vescovo di Napoli, sono attribuiti storiograficamente, ma senza alcun riscontro archeologico, due monasteri, uno nella regione Capuana, detto di S. Martino e l’altro, nella zona dell’Anticaglia, detto di S. Potito.

Altri edifici paleocristiani

Gli edifici sacri severiani non sono di certo gli unici monumenti paleocristiani superstiti.

La chiesa di Santa Maria Maggiore detta della Pietrasanta, sorge su una basilica paleocristiana, eretta, secondo le fonti del Chronicon, nel VI secolo da S. Pomponio. La basilica nasceva in una zona dove un tempo c’era una fratria ed un tempio dedicato al culto della Luna piena o della Dea Diana. All’interno della moderna chiesa cinquecentesca, nella navata centrale, sono poco visibili tramite due botole coperte da un vetro nel pavimento, tracce di mosaici del sopracitato tempio pagano, utilizzato come piano di calpestio dell’antico edificio cristiano. La cripta, fortemente restaurata e tutt’ora in fase di lavoro, avendo avuto la opportunità di visionarla, non presenta tracce rilevanti di architetture tardoantiche, se non per alcuni lacerti di muro in pietra tufacea.

La chiesa di San Giovanni Maggiore, che la leggenda vuole sia stata fatta edificare dall’imperatore Costantino una volta scampato da un naufragio e dedicata alla figlia Costanza, risale al 324, come testimonia una iscrizione in greco posta su una architrave. Sorge su un tempio pagano dedicato ad Ercole o Antinoo. Dalle fonti scritte subisce vari interventi nel VI secolo ad opera del vescovo Vincenzo. L’interno, fortemente rimaneggiato nei secoli successivi, ingloba parte della basilica paleocristiana. Nel secolo scorso, per opere di restauro, spostando il coro ligneo del seicento, fu portato alla luce l’abside paleocristiano ad archi sostenuti da pilastri istoriati e colonne corinzie, entrambi i supporti provenienti dal tempio pagano. Nel pavimento tracce di mosaico policromo con motivo a scacchiera risalenti alla struttura del VI secolo.

La angioina Basilica di San Lorenzo maggiore, sorge su una più antica basilica paleocristiana dedicata al protomartire Lorenzo, voluta dal vescovo di Napoli Giovanni II tra il 533-555. A sua volta, l’edificio sacro sorge sulle rovine dell’antico Macellum romano o il luogo del mercato situato nel forum, che si estende al di sotto di piazza San Gaetano. Gli scavi effettuati negli anni 50 hanno messo in luce tracce della decorazione musiva pavimentale dell’edificio paleocristiano ed in particolare delle zone ai lati dell’abside, la prothesis e il diaconicum. Parte dei mosaici sono conservati e visibili nel museo dell’opera ospitato nel convento alle spalle della Basilica, mentre altri sono visibili nella chiesa stessa. La decorazione è sia a motivi geometrici a fasce, cordoni intrecciati, o volatili, pesci e oggetti inseriti in cornici ottogonali.

All’elenco degli edifici sacri tardo antichi, ce ne sono altri, ma non presentano tracce di decorazioni iconografiche, come la chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli, i SS. Apostoli, S. Pietro ad Aram, S, Gennaro fuori le mura. Altri edifici presentano importanti tracce di decorazioni sia ad affresco che a mosaico, le catacombe napoletane, ma non appartengono ad edifici di culto, se non per rituali funerari.

Riflessioni

Le testimonianze iconografiche paleocristiane sono troppo esigue per poter creare ad hoc una tematica tipica napoletana. Prendendo singolarmente i monumenti indagati, che tra l’altro sono le uniche tracce artistiche superstiti, si intravede un filo conduttore che nasce sotto Severo e che ne risente molto, iconograficamente parlando, degli avvenimenti culturali, filosofici e religiosi del IV secolo. Come si è notato per il capitello in S. Giorgio maggiore, il richiamo all’oriente è molto forte e non è da escludere che a Napoli, sotto Severo e anche successivamente, lavorassero maestranze di artisti provenienti dal Medio Oriente e dalla Siria. Si nota anche un certo parallelismo con la decorazione ormai persa del catino absidale della chiesa di S. Giorgio maggiore con i mosaici di S. Giovanni in Fonte. Nella ricostruzione del Chronicon, la scelta del soggetto, ovvero Cristo Salvatore del mondo, era sì una prassi primitiva, ma era anche una scelta iconografica che serviva a combattere l’eresia dell’Arianesimo. In basso, si vedevano quattro personaggi, due a destra e due a sinistra. Uno recava una corona d’olivo, un altro l’uva, il terzo portava spighe, il quarto spargeva rose. Allo stesso modo si possono accostare i personaggi presenti nei triangoli intorno al monogramma in S. Giovanni in Fonte. Inoltre, in corrispondenza dei quattro personaggi si leggeva il versetto biblico suddiviso in quattro epigrafi “fiat pax in virtute tua et abundantia in turribus suis”. Il cronista li indicava come i quattro profeti, mentre il Leclercq e il Mallardo, attribuivano ai quattro viri il ruolo delle quattro stagioni, dove di solito erano rappresentate da figure femminili, ma nell’usanza siriana potevano essere anche maschili.

Un richiamo all’arte orientale è dato anche dai mosaici di S. Lorenzo maggiore, dove sono visibili un complesso gioco di fasce, percorse da motivi variati (trecce, croci, onde..) che si intrecciano, si annodano, formando dei riquadri con all’interno fiori, un vaso, un gallo, un delfino ed una razza a cinque occhi. Il mosaico rimanda al gusto bizantino per il toni vivaci e frenetici della composizione. I confronti posso essere fatti con i pavimenti delle chiese siriane, libanesi e giordane del V secolo. L’altro mosaico, visibile nel transetto, apparteneva alla prothesis dell’abside. Presenta motivi ad ottagono che toccandosi formano stelle a quattro punte; nei riquadri si distinguono volatili, fiori, cesta con pane, melograni, tutti intrecciati con il nodo di Salomone, o croci o rombi. La composizione, più sobria rispetto a quella del diaconicon, ricorda l’arte tessile. Il cesto con il pane, i fiori, i volatili, rappresentano xenia, ovvero offerte o doni, messaggio iconografico di origine ellenistica molto diffuso nelle chiese orientali tra il V e VI secolo.

L’apertura non solo culturale e politica verso l’oriente, trova riscontro anche nell’aumento dei commerci che avvenivano tra Napoli e le coste orientali. Questo dato è confermato dalla alta percentuale di tipi anforici di origine orientale in diversi contesti di IV e V secolo a Napoli. Non è da escludere, quindi, che oltre al denaro, viaggiassero anche artisti, artigiani, ma soprattutto idee. La cristianità si trovava a combattere contro tante insidie, aveva bisogno di attirare le masse e non disperderle ed è indubbio che un chiaro ed efficace progetto iconografico era alla base delle prime costruzioni sacre.

Bilbliografia

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